di Claudio Colaiacomo
A volte i percorsi delle persone si incrociano all’insaputa dei protagonisti stessi, le loro idee convergono attraverso il tempo e lo spazio. È questo il caso della formidabile connessione settecentesca mai realizzata e persino inesplorata tra Ippolito Desideri, un missionario gesuita italiano, e David Hume, il filosofo scozzese dell’Illuminismo.
Ippolito Desideri, esploratore e studioso gesuita, si avventurò nel cuore del Tibet nei primi anni del XVIII secolo. Le sue osservazioni meticolose sulla cultura tibetana, sul Buddhismo e sulla società furono racchiuse nel suo lavoro Missione in Tibet. Desideri trascorse gran parte della sua vita viaggiando da Roma all’India e alla fine arrivò in Tibet, dove risiedette per anni accettato dalla comunità. Lì imparò la lingua tibetana, visitò diverse università monastiche e giunse a conoscere la filosofia Madyamaka del Buddhismo, oggi ampiamente conosciuta come Via di Mezzo. Desideri dalla sua prospettiva di missionario, era interessato a cogliere l’essenza della filosofia tibetana, trovare incongruenze e mostrare in che modo il cristianesimo fosse superiore. Ma Desideri era anche uno studioso di virtù raffinate. Ben presto comprese l’approccio filosofico tibetano e ne rimase affascinato. Nel suo resoconto di viaggio, Desideri elogia la filosofia del Tibet e, sebbene la consideri inferiore al cristianesimo, riconosce apertamente il valore dei suoi argomenti. Purtroppo, quando tornò a Roma alla fine della sua vita, il suo prezioso resoconto non fu mai pubblicato e i suoi scritti rimasero dimenticati negli archivi del Vaticano fino a tempi recenti.
È di grande fascino l’idea che il resoconto di Desideri, sebbene riguardato con disinteresse dalla chiesa per molti anni, avrebbe potuto influenzare la filosofia del sé su cui Hume stava lavorando proprio in quegli anni, tracciando parallelismi con le profonde intuizioni di Nagarjuna. Ironicamente, la mancata pubblicazione dei resoconti di Desideri durante la sua vita non riuscì a incontrare e influenzare la ricerca di Hume. Un missionario in Tibet e un bibliotecario in Scozia studiosi dello stesso argomento, la teoria del sé, da prospettive diverse senza aver contezza l’uno dell’altro. Un punto di partenza perfetto per i ricercatori moderni per approfondire ulteriormente il tema.
Se il resoconto di Desideri fosse stato portato alla luce durante la sua vita, il panorama intellettuale del XVIII secolo avrebbe potuto cambiare sotto l’influenza di quello scambio di idee che non avvenne mai. David Hume, il filosofo empirista scozzese, era un giovane studioso quando Desideri tornò a casa. Mentre Desideri stava annotando le sue osservazioni in Tibet, Hume stava formulando le sue idee rivoluzionarie sul sé. Centrale alla filosofia di Hume era l’idea che il sé non è un’entità sostanziale e duratura, ma una collezione di impressioni e idee. Al lettore moderno gli scritti di Hume suonano come l’eco di Nagarjuna, l’influente filosofo buddhista del II secolo, che aveva esposto la filosofia sulla vacuità (shunyata) del sé.
Il resoconto di Desideri, impregnato di intuizioni buddhiste, avrebbe potuto ripercuotersi sulle teorie in evoluzione di Hume. La filosofia di Nagarjuna, che enfatizza l’interdipendenza e la vacuità, risuona attraverso le osservazioni di Desideri sul Buddhismo tibetano. Gli incontri diretti di Desideri con la filosofia tibetana, uniti alla ricettività di Hume verso diverse influenze filosofiche, avrebbero potuto scatenare un ricco scambio intellettuale. I fili comuni di vacuità, impermanenza e la negazione dell’esistenza intrinseca di un sé sia in Nagarjuna sia nei resoconti di Desideri avrebbero potuto trovare terreno fertile nei pensieri di Hume sull’identità personale.
Lo scenario ipotetico del resoconto di Desideri che raggiunge Hume ci invita a riflettere sull’interconnessione delle idee attraverso culture e discipline. L’incontro ipotetico tra Desideri e Hume sottolinea l’importanza di preservare e diffondere prospettive intellettuali diverse. Sebbene possiamo solo speculare sull’impatto del resoconto nascosto di Desideri sulla filosofia di Hume, la mera possibilità che i loro percorsi si sarebbero potuti incrociare evidenzia la ricchezza degli scambi interculturali nella formazione della storia intellettuale. La scoperta del lavoro di Desideri oggi ci invita a rivalutare l’interconnessione delle idee filosofiche e le opportunità mancate di dialogo che avrebbero potuto arricchire il discorso sul sé.