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Articoli e notizie

MindScience Academy cura una serie di articoli con il proposito di avvicinare e chiosare lo scambio tra ricerca scientifica e tradizione contemplativa. Attraverso una tale produzione, si tenterà di ampliare l’equipaggiamento a disposizione del lettore critico e del ricercatore, senza pretendere di esaurire la portata della riflessione ma, al contrario, moltiplicando e ibridando i suoi linguaggi. In questo senso, questa colonna editoriale somiglia ad un laboratorio; critico, enzimatico, aperto alla sorpresa e all’esperienza trasformativa.
Per come descritta dal linguista George Lackoff, una metafora spaziale (anche orientational metaphor) è una metafora concettuale in cui gli elementi coinvolti sono spazialmente relati l’un l’altro, vale a dire che sono rispettivamente sopra o sotto, dentro o fuori, davanti o dietro, in profondità o in superficie, al centro o alla periferia, e così via.
Le neuroscienze data-driven dalla meditazione Buddhista e dalla mindfulness si sono guadagnate enorme popolarità di recente. Eppure, il potenziale trasformativo dell’uomo offerto dal Buddhismo, sotto lo scanner fMRI (Risonanza Magnetica Funzionale) — delimitato come ‘oggetto’ di studio — può diventare sterile, inanimato e inerte quando viene dislocato dalle sue dimensioni performative, costitutive del suo significato.
La domanda che proviamo ad affrontare in questa sede è: comprendiamo davvero cosa sia il Buddhismo?
Un articolo del The Guardian del 2019 afferma che il movimento per la mindfulness è divenuto “la nuova spiritualità capitalista” – “pensiero magico sotto steroidi,” che anziché sovvertire “l’ordine neoliberista”, oggi “serve soltanto a rinvigorire la sua logica distruttiva.”
L’idea dei neuroni come unità operativa bioelettrica fondamentale del cervello è ormai da inquadrare in un contesto più ampio; la ricerca neurobiologica recente sta gradualmente ricollocando questa idea classica della neurologia in una prospettiva relazionale.