Autori: Giovanna Grenno (1), Andrea Piarulli (1), Angelo Gemignani (1,2)
1) Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica, Università di Pisa
2) Dipartimento di Neuroscienze, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana
1. Respiro e Coscienza: dalle pratiche millenarie alle scoperte neuroscientifiche
“Respirare è molto più che far entrare aria nel corpo. È il contatto più intimo con ciò che ci circonda”
(Nestor, 2020)
Da un punto di vista fisiologico, il respiro, a differenza di altre funzioni vegetative poste esclusivamente sotto il controllo del sistema nervoso autonomo, presenta la peculiarità di poter essere modulato a livello volontario e consapevole (Betka et al., 2022). La consapevolezza e la regolazione del respiro costituiscono aspetti fondamentali dello Yoga Indo-Tibetano e, in generale, delle pratiche meditative; entrambi gli approcci sostengono che vi sia una relazione bidirezionale tra la mente e il respiro, e che sia quindi possibile raggiungere livelli più elevati di coscienza attraverso la modulazione della respirazione (Balaji et al., 2012; Brown & Gerbarg, 2009). Nello specifico, più il respiro è lento e maggiore sarebbe la possibilità di modificare il livello di coscienza: gli studi presenti in letteratura suggerirebbero che proprio le tecniche meditative basate sulla respirazione lenta rappresenterebbero uno strumento efficace per raggiungere stati di coscienza definiti come “non ordinari” (Zaccaro et al., 2022).
Il respiro risulta quindi parte integrante delle pratiche mente-corpo; nello Yoga, per esempio, una delle tecniche fondamentali è rappresentata dalla respirazione lenta nota come Pranayama (dal sanscrito “prana” respiro di vita/energia vitale e “ayama” espansione/regolazione/controllo), che consiste in modifiche volontarie del respiro, di solito eseguite in posizione seduta e caratterizzate tipicamente da tre fasi: il Puraka (inspirazione), il Kumbhaka (la ritenzione del respiro) e il Rechaka (espirazione) (Jayawardena et al., 2020).
Sebbene esistano diverse tecniche di pranayama, la maggior parte di esse è accomunata da un significativo rallentamento della frequenza respiratoria (fino a 2-3 respiri al minuto) e dal fatto che la via di respirazione privilegiata sia quella nasale.
Gli esercizi di respirazione yogica possono essere considerati una forma di meditazione in sé, oltre che una preparazione per la meditazione profonda (Campanelli et al., 2020). Gli effetti di tale pratica favorirebbero il benessere fisico e la consapevolezza di sé, porterebbero a un miglioramento delle capacità polmonari e cognitive e favorirebbero la riduzione della pressione arteriosa e dei livelli d’ansia (Brown & Gerbarg, 2009; Rocha et al., 2012; Sharma et al., 2014; Novaes et al., 2020).
Gli studi sugli effetti psicofisiologici delle varie tecniche di Pranayana hanno fornito risultati che sembrerebbero confermare quanto sostenuto dalle tradizioni antiche, sottolineando gli stretti rapporti tra respirazione e sistema nervoso centrale (Sengupta, 2012).
Affinché la respirazione possa condurre a esperire uno “stato non ordinario di coscienza”, non basta però che sia lenta. È fondamentale che essa avvenga per via nasale. Già gli antichi testi yogici affermavano l’importanza delle narici per il controllo del prana, ma solo grazie all’approccio in terza persona tipico delle neuroscienze è stato possibile iniziare a comprendere i meccanismi neurofisiologici e neurofenomenologici alla base dell’interrelazione tra respiro nasale e coscienza.
Oggi sappiamo che la respirazione nasale fornisce non solo l’ingresso d’aria attraverso il naso, ma consente anche la sincronizzazione dell’attività neurale di strutture corticali e sottocorticali (Tort et al., 2018; Biskamp et al., 2017; Zelano et al., 2016; Ito et al., 2014). I neuroni sensoriali olfattivi, situati nell’epitelio della volta nasale, presentano sia una sensibilità verso stimoli chimici (quindi verso tutte quelle molecole che sono alla base degli odori) ma anche nei confronti di sollecitazioni meccaniche, derivanti dall’impatto del flusso d’aria inspirata sulla mucosa della volta nasale (Grosmaitre et al., 2007).
Fontanini & Bower, nel 2006, ipotizzarono che l’attivazione dei meccanocettori della volta nasale indotta dall’aria inspirata possa generare un’onda di sincronizzazione neurale che partendo dal bulbo olfattivo, coinvolge tutto il mantello corticale, con effetti sul comportamento, sulla regolazione emotiva e sullo stato di coscienza.
Andando quindi a esaminare in maniera più approfondita quelli che sono i meccanismi che legano il respiro agli “stati non ordinari di coscienza”, non si può non fare riferimento al lavoro seminale del premio Nobel per la medicina Sir Edgar Douglas Adrian. L’opera di Adrian (1942), costituisce la prima osservazione su modello animale degli effetti modulatori sull’attività̀ ritmica della corteccia piriforme attraverso stimolazione meccanica dell’epitelio olfattivo mediante aria, mettendo per la prima volta in evidenza la componente meccanocettiva della volta nasale.
Successivamente, Arduini e Moruzzi, soffiando puff d’aria nelle narici del gatto, registrarono corrispondenti attività̀ elettriche nel bulbo olfattivo (Arduini & Moruzzi, 1953), e tali risultati vennero replicati da Hobson (1967) nella rana, mettendo in evidenza come il flusso d’aria attraverso le narici avesse un effetto di sincronizzazione sull’attività elettrica cerebrale dipendente dalla frequenza di stimolazione.
Un aspetto estremamente intrigante deriva poi dall’osservazione che la sincronizzazione neurale globale indotta dalla stimolazione nasale viene quasi completamente abolita a seguito di: a) tracheotomia (Fontanini et al., 2003; Ito et al., 2014; Yanovsky et al., 2014; Lockmann et al., 2016; Zhong et al., 2017); b) lesioni chirurgiche dell’epitelio olfattivo (Moberly et al., 2018); e; d) inibizione farmacologica e rimozione chirurgica del bulbo olfattivo (Liu et al., 2017; Ito et al., 2014; Biskamp et al., 2017). Questi dati sottolineano con forza il ruolo dell’aria che passa attraverso le narici nella sincronizzazione dei ritmi cerebrali, configurando una specie di portante elettrofisiologica di fondo cruciale per modulare i fenomeni di integrazione delle informazioni su larga scala a livello corticale che sottocorticale.
La scoperta di Adrian ha in ultima analisi permesso di aprire la strada a studi, sia nel modello animale che nell’uomo, che hanno come scopo determinare gli effetti neurofisiologici e psicobiologici dell’accoppiamento tra l’attività cerebrale e la respirazione nasale (Fontanini & Bower, 2003; Biskamp et al., 2017; Ito et al., 2014, Yanovsky et al., 2014; Zelano et al., 2016; Piarulli et al., 2018).
Negli esseri umani, un contributo innovativo sull’argomento è stato fornito da Zelano e colleghi, i quali mediante l’utilizzo dell’elettroencefalogramma intracranico (iEEG) hanno osservato in pazienti epilettici, la presenza di oscillazioni elettrofisiologiche sincronizzate con la respirazione nasale in alcune strutture cerebrali quali il cervelletto, l’amigdala e l’ippocampo. Come controprova del ruolo cruciale della respirazione nasale nella sincronizzazione dell’attività neurale, gli autori hanno osservato come questa sincronizzazione scomparisse quando i soggetti respiravano con la bocca (Zelano et al., 2016).
Ricapitolando, durante la respirazione nasale il flusso d’aria attiva i meccanocettori olfattivi, inducendo un’attività neurale ritmica nel bulbo olfattivo (Fontanini & Bower, 2006). Successivamente, l’attività del bulbo olfattivo influenza le oscillazioni anche di aree cerebrali non associate all’elaborazione degli odori, rendendo quindi il sistema olfattivo, similmente al talamo, una struttura in grado di creare pattern di complessità di scarica di miliardi di cellule neurali.
Sebbene la funzione delle oscillazioni cerebrali respiro-dipendenti non sia ancora stata completamente delucidata, l’ipotesi di fondo è che la generazione di tali ritmi oscillatori possa sincronizzare l’attività di gruppi cellulari distribuiti in diverse aree del cervello arrivando potenzialmente a riorganizzare dinamiche spazio-temporali del sistema nervoso centrale che sottendono lo stato di coscienza (González et al., 2022; Zaccaro et al., 2022; Piarulli et al., 2018).
Esattamente come descritto nel lavoro di Fontanini & Bower (2006), l’influenza del sistema olfattivo, e soprattutto della respirazione, sulle dinamiche oscillatorie corticali può fornire prospettive affascinanti su come le varie tecniche meditative basate sul respiro nasale siano in grado di modulare i livelli di coscienza.
2. Respiro e Meditazione: gli studi condotti presso l’Università di Pisa
“L’influenza del sistema olfattivo in generale e della respirazione sugli stati cerebrali oscillatori, fornisce una nuova prospettiva potenzialmente interessante sulla meditazione”
(Fontanini & Bower, 2006)
Tenendo in considerazione l’effetto modulatorio della respirazione sull’attività cerebrale, e dei suoi collegamenti con gli stati meditativi, il gruppo di ricerca dell’Università di Pisa diretto dal Prof. Angelo Gemignani porta avanti da anni un filone di ricerca atto a investigare il ruolo della respirazione nasale sulle dinamiche cerebrali e sullo stato di coscienza (Piarulli et al., 2018; Zaccaro et al., 2022).Nello specifico, nello studio di Piarulli del 2018, gli Autori si sono domandati se fosse possibile studiare nell’uomo gli effetti psicobiologici della stimolazione meccanica dell’epitelio olfattivo mediante aria inodore sull’attività elettrica corticale.
L’esperimento si basava sull’utilizzo di una cannula, posizionata in corrispondenza della volta nasale, collegata ad un sistema ingegneristico di erogazione di aria inodore la cui funzione era quella di replicare artificialmente le dinamiche respiratorie. I soggetti sani reclutati per l’esperimento non avevano avuto precedenti esperienze di pratiche meditative nella loro vita (aspetto che avrebbe potuto costituire un “bias” metodologico e esperienziale) sono stati sottoposti a una stimolazione mediante aria inodore della volta nasale, in accordo con il timing della respirazione pranayama (8 secondi di flusso d’aria e 12 di pausa). Questa modalità di stimolazione passiva di soggetti totalmente “naive” a qualsiasi tecnica o esperienza meditativa ha permesso di eliminare i tipici “bias” cognitivi legati alla meditazione, come ad esempio i livelli attentivi, la consapevolezza ecc. A tutti i soggetti sperimentali è stata registrata l’attività elettrica corticale tramite l’utilizzo di un elettroencefalogramma ad alta densità e successivamente è stato valutato il loro livello di coscienza mediante il Phenomenology of Consciousness Inventory (Pekala, 1982). Come situazione di controllo, gli stessi soggetti sono stati sottoposti a una stimolazione “falsa”, durante la quale non veniva erogata alcuna aria all’interno della volta nasale. In tutte le condizioni sperimentali i soggetti respiravano con la bocca
I principali risultati emersi dallo studio hanno messo in evidenza:
a) un aumento della potenza di ritmi lenti (delta e teta), tipici del sonno NREM, diffusamente su tutto il mantello corticale con una certa predilezione topologica per le strutture che appartengono al Default Mode Network (DMN);
b) una inversione del flusso informativo dell’attività teta simile a quello che avviene durante il sonno NREM, quindi dalle regioni anteriori a quelle posteriori (Kaminski et al., 1995).
c) da un punto di vista fenomenologico, tutti i soggetti riferivano che la stimolazione della volta nasale, con dinamiche simili a un respiro Pranayama, ha indotto modificazioni percettive riconducibili a uno “stato non ordinario di coscienza”, caratterizzato dal direzionamento dell’attenzione verso se stessi, da una percezione diversa del corpo e dello scorrere del tempo, da una riduzione del controllo volitivo e da un decremento del pensiero razionale (Piarulli et al., 2018).
In generale questo studio ha messo in evidenza che l’incremento di attività lente nelle cortecce prefrontali medio-centrali e nelle aree del DMN associate ad una inversione sonno-simile del flusso informativo potrebbe caratterizzare uno stato di coscienza dove il mondo interno prende il sopravvento su quello esterno modificando il senso di realtà così come aumentando l’introspezione e l’autoconsapevolezza (Brewer et al., 2011; Panda et al., 2016; Lou et al., 2017).
Successivamente gli stessi autori hanno affrontato gli effetti della stimolazione dell’epitelio olfattivo in un contesto più squisitamente meditativo, ovvero studiando esperti meditatori Pranayama. Utilizzando lo stesso approccio di registrazione dei parametri psico-biologici utilizzato in Piarulli et al., 2018, gli autori hanno confrontato gli effetti di un respiro Pranayama effettuato con il naso (bocca chiusa) con quello effettuato con la bocca (naso tappato). Questo modello sperimentale ha permesso di valutare in modo nettamente più ecologico la modulazione psico-biologica dell’attività neurale e del comportamento indotti della respirazione nasale rispetto a quella orale, a parità di attivazione vagale legata ad esempio all’espansione della gabbia toracica (Zaccaro et al., 2022). I risultati di questo studio sono in linea con quelli riportati in soggetti “naive” da Piarulli et al., 2018. In sintesi, la respirazione nasale rispetto a quella orale induceva:
a) un aumento della potenza delle basse frequenze (delta e teta) nelle aree prefrontali mediali;
b) un aumento diffuso della connettività sia a basse frequenze che ad alte frequenze;
c) uno stato non ordinario di coscienza caratterizzato da un umore positivo, da un’alterata esperienza di coscienza così come di consapevolezza e, infine da una importante riduzione dello stress percepito.
Questi risultati, oltre a essere in linea con le ipotesi neurofisiologiche scaturite dal modello animale, suggeriscono come il bulbo olfattivo nell’uomo giochi, alla stregua del talamo, il ruolo di un modulatore delle integrazioni corticali e quindi dello stato di coscienza non ordinario esperito dai soggetti, indipendentemente dalle loro esperienze di pratiche meditative (Piarulli et al., 2018; Zaccaro et al., 2022).
Un ulteriore contributo proviene dagli studi condotti dal Professor Bruno Neri presso l’Università Monastica di Sera Jey (India) dove sono state confrontate, in Monaci esperti, gli effetti di diverse pratiche meditative sull’attività elettrica corticale. Anche in questo caso, quello che è emerso è che la meditazione focalizzata sul respiro induce un aumento dei ritmi lenti, in particolar modo in banda theta (Neri et al., submitted).
Tutti gli studi citati fino ad ora legano neuroscientificamente tra loro respiro e coscienza, una diade integrata che ha da sempre caratterizzato l’approccio delle culture orientali al concetto di mente.
3. Come il controllo volontario del respiro può migliorare la nostra salute
“Il naso è un guerriero silenzioso: il custode dei nostri corpi, il farmacista delle nostre menti e il segnavento delle nostre emozioni”
(Nestor, 2020)
Nella cultura occidentale, le pratiche respiratorie hanno preso forma e campo in modo totalmente indipendente da influenze religiose o spirituali e sono prevalentemente impiegate per fini terapeutici (Zaccaro et al., 2018). Per questo motivo, esse hanno attirato molta attenzione, dal momento in cui gli studi scientifici hanno descritto le modificazioni del substrato biologico che correlano con un miglioramento del senso di benessere (Jayawardena et al., 2020; Kuppusami et al., 2017; Jerath et al., 2006).
Oltre ai modelli neurofisiologici legati alla stimolazione della volta nasale, sono stati proposti diversi modelli sperimentali che in modo top-down o bottom-up cercano di descrivere i meccanismi psicofisiologici che sottendono gli effetti postivi indotti da tali tecniche.
Sicuramente tra gli effetti maggiormente osservati ci sono le modificazioni dell’uscita del sistema nervoso autonomo rilevata mendiante lo studio della variabilità della frequenza cardiaca (Heart Rate Variability, HRV). Questo approccio non invasivo ha messo in evidenza come in generale le tecniche di controllo respiratorio siano principalmente caratterizzate da uno spostamento dell’attività del sistema nervoso autonomo verso una prevalenza parasimpatica. In altre parole, una maggiore HRV associata ad una elevata attività parasimpatica, risulterebbe vantaggiosa nei confronti delle risposte correlate allo stress, in quanto renderebbe il nostro sistema biologico nettamente più resiliente. Al contrario, una risposta disfunzionale allo stress, comunemente riscontrabile in situazioni di stress cronico, ansia e depressione, si caratterizza per un’attività del sistema nervoso autonomo guidata da una prevalenza simpatica e da una bassa HRV (Fincham et al., 2023).
Lo stress cronico ha un impatto significativo sulla salute degli individui, associandosi a numerose patologie somatiche, come ipertensione, malattie cardiovascolari così come rendendo le persone nettamente più vulnerabili allo sviluppo di disturbi mentali come ansia e depressione, o al peggioramento di situazioni morbose pre-esistenti (Birdee et al., 2023).
Come abbiamo osservato dall’analisi della letteratura scientifica emerge senza ombra di dubbio che la respirazione nasale lenta è in grado di indurre, oltre alla sincronizzazione dei ritmi cerebrali, un miglioramento del benessere psicologico, in termini di maggiore rilassamento e riduzione dei sintomi ansiosi e depressivi. Questi effetti sembrano a loro volta essere l’espressione di una dominanza parasimpatica (Zaccaro et al., 2018) così come di modificazioni della complessità cerebrale (Piarulli et al., 2018; Zaccaro et al., 2022).
Non è un caso che la connessione tra attività respiratoria e attività neurale sembra avere effetti particolarmente intensi sulle emozioni: è stato osservato che protocolli di respirazione lenta sono in grado di esercitare un effetto rilassante e calmante, mentre una respirazione più veloce tenderebbe a indurre stati ansiosi (Goheen et al., 2023). Questa duplice modalità di risposta psicologica alla frequenza respiratoria sembra trovare una spiegazione sulle relazioni tra respiro e attività del locus coeruleus, struttura fondamentale per lo stato di arousal, l’attenzione e l’espressione emotiva (Sheikhbahaei & Smith, 2017; Yackle et al., 2017).
Andando oltre l’effetto diretto del respiro, il suo controllo volontario durante tecniche meditative rappresenta una delle principali modalità per mantenere l’attenzione focalizzata, e soprattutto rappresenta il canale principale per attivare consapevolemente il network interocettivo (Lutz et al., 2008; Fox et al., 2016). Questo network comprende varie regioni cerebrali, come la corteccia insulare, la corteccia cingolata, il giro frontale inferiore e la corteccia sensomotoria (Garcia-Cordero et al., 2017); inoltre, tale network presenta connessioni con l’amigdala, l’ipotalamo e l’ippocampo ( Kleint et al., 2015; Khalsa et al., 2018). Tutti i tipi di meditazione, oltre a indurre un miglioramento della consapevolezza interocettiva, sembrano modulare sia l’attività che lo spessore dell’insula che al loro volta correlano con il controllo del respiro (Gibson, 2019). La percezione e l’elaborazione degli stimoli viscerali favoriscono una percezione consapevole dei processi corporei, svolgendo un ruolo nell’esperienza emotiva e in processi di autoregolazione. Tutto questo assume una dimensione pivotale, ovvero una dispercezione dei processi fisici interni ha il potenziale di amplificare lo stress mentre una sua corretta percezione di aumentarne la resilienza (Schulz & Vögele, 2015).
In conclusione, le tecniche di respirazione lenta sembrerebbero potenziare la flessibilità autonomica, cerebrale, emotiva e comportamentale, portando a una serie di benefici sull’individuo che le pratica. Da una parte i cambiamenti psicofisiologici indotti dal controllo volontario della respirazione lenta sembrerebbero legati all’interocezione, e quindi alla regolazione volontaria degli stati interni del corpo, e dall’altra al ruolo dei meccanocettori della volta nasale che, mediante la modulazione dell’attività del bulbo olfattivo, sembrerebbero modulare l’attività dell’intera corteccia cerebrale (Zaccaro et al., 2018).