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In primo piano dicembre 2024

“Compassione e spiritualità in medicina: aspetti personali e istituzionali” di Bruno Neri

Negli ultimi 30 anni, anche in ambito medico/scientifico, è cresciuta la consapevolezza dell'importanza di proteggere, durante il percorso terapeutico del paziente, uno spazio intimo in cui egli possa concentrarsi sulla sua vita interiore. Questo spazio dovrebbe essere dedicato all'esplorazione del senso e dello scopo della vita e della morte, mantenendo aperta una finestra verso il trascendente.
MSA Medicine and Spirituality Bruno Neri
a detail of Naturstudie XXIX (1924), Karl Wiener (Austrian, 1901-1949)

Estratto da: B. Neri, Spirituality in Medicine: A New Dimension in the Light of a Millennial Tradition in The patient as a Person, A.Pingitore, M.Iacono Eds, pp 153-170, Springer Nature, 2023

1. Introduzione
A differenza delle tradizioni mediche orientali, la medicina occidentale si è sviluppata privilegiando un metodo analitico che si concentra principalmente sulle cause delle malattie e sul tentativo di limitarne gli effetti riparando i guasti che esse provocano. Questo approccio ha portato a notevoli progressi scientifici, ma ha anche ridimensionato l’importanza dell’aspetto umano nella relazione tra medico e paziente, trascurando l’impatto delle esperienze personali sul decorso della malattia e sui risultati delle cure.
In realtà, fin dal momento in cui ha adottato il metodo scientifico, la Medicina ha perseguito l’obiettivo di “avvicinarsi il più possibile” alle scienze esatte, dimenticando, almeno in parte, che queste ultime si occupano esclusivamente di fenomeni chimico-fisici modellabili matematicamente. Per tale motivo, è stato necessario, prima di tutto, escludere dal campo di analisi l’esperienza soggettiva, che continua a sfuggire a questa modellizzazione. In base a questa visione, ogni riferimento alla vita interiore del paziente e alla necessità di dare spazio alla sua Spiritualità, intesa come attenzione alla sua esperienza interiore e riconoscimento della sua trascendenza, è stato a lungo escluso dal rapporto di cura tra medico e paziente. Questa circostanza non ha giovato a tale rapporto, poiché è solo nel contesto dell’esperienza soggettiva che possono essere collocati, analizzati e affrontati la sofferenza fisica e mentale, così come la paura della morte che accompagna la malattia.
Alle soglie del terzo millennio, però, è emersa sempre più chiaramente l’opportunità di permettere al paziente di coltivare la sua Spiritualità durante il suo percorso di malattia anche all’interno delle strutture sanitarie e di fare spazio alla Compassione nel rapporto di cura: Compassione intesa nel senso di bodhicitta, termine sanscrito che rappresenta la coltivazione e lo sviluppo di empatia per la sofferenza degli altri.
La Compassione entra, così, pienamente nella relazione di cura innestandosi naturalmente nel contesto più ampio della relazione con la sofferenza: Compassione non come atteggiamento pietoso e un po’ distaccato verso un “altro” meno fortunato, ma come risultato di una profonda consapevolezza del fatto che tutti noi, come esseri senzienti, siamo continuamente esposti alla sofferenza. Coltivare bodhicitta è una pratica spirituale specifica a cui nel Buddhismo si presta molta attenzione fornendo tecniche specifiche per svilupparla. Una di queste è la cosiddetta meditazione della “Gentilezza Amorevole” [3]. Questo tipo di meditazione, come altre, è stato studiato anche dal punto di vista dei suoi correlati neuronali [4]: sono stati osservati cambiamenti specifici e ben caratterizzati nel tracciato EEG che hanno fornito un esempio lampante di come una mente allenata possa modificare parametri fisiologici. E’ emersa, quindi, una modalità di interazione che va nella direzione opposta a quella ipotizzata dalle Neuroscienze: non più la mente/coscienza generata come prodotto necessario dei correlati neuronali, quindi del cervello, bensì la mente/coscienza in grado di intervenire su tali correlati modificando così l’attività cerebrale.
Il momento cruciale, comunque, della relazione mente/corpo rimane, secondo la visione buddhista, quello in cui questa relazione si dissolve: il momento della morte che è anche quello in cui si impostano i presupposti per la successiva rinascita. Il processo del morire, lo stato di transizione (bardo) e la rinascita sono descritti nel Libro Tibetano dei Morti (Bardo Todol è il titolo originale in Tibetano, che “… è una delle opere più impressionanti della cultura di tutti i tempi e raccoglie l’insegnamento sulla vita e sulla morte predicato dalla figura semi-leggendaria del grande maestro Padmasambhava” [8]. Il punto massimo di espressione della Compassione nei confronti del morente si realizza durante questa fase cruciale del ciclo vitale quando i discepoli oppure le persone più prossime al morente, leggono al suo orecchio alcuni passi del Bardo Todol per aiutarlo a comprendere i fenomeni che egli sta sperimentando nella terra di passaggio, quando la coscienza si ritrae dal corpo ormai consumato, privandolo così del suo soffio vitale e inizia il suo percorso che la condurrà alla successiva reincarnazione.

2. La Spiritualità nel contesto istituzionale
La Spiritualità, nella forma sopra definit [1, 5], riguarda principalmente la sfera personale e non può essere misurata e riportata in statistica. Pertanto, in quasi tutte le ricerche e le recensioni pubblicate nelle riviste mediche occidentali, l’adesione a una religione riconosciuta e la partecipazione attiva a una comunità che si riconosce in quella specifica religione, viene utilizzata come indicatore osservabile. Si tratta quindi di un concetto di Spiritualità più spostato verso l’adesione formale a una visione codificata, rispetto a quella centrata sull’esperienza interiore personale.
Seppure con questa non trascurabile limitazione, tuttavia, un primo passo è stato compiuto verso il graduale riconoscimento del ruolo positivo della Spiritualità nel decorso della malattia e nell’efficacia dei trattamenti. Un’ampia bibliografia su questo argomento si può trovare, ad esempio, in [10] le cui conclusioni sono riportate di seguito [10 riferimenti in esso contenuti]:
In generale, i risultati della revisione della letteratura scientifica sull’argomento hanno indicato notevoli effetti della Spiritualità sulla salute, un risultato menzionato frequentemente in diversi studi [9, 14, 53]. Numerosi studi hanno indicato che la Spiritualità ha avuto un impatto favorevole sul recupero, ha migliorato il benessere [2, 29, 11, 12, 13] e ha abbassato i livelli di depressione [2, 47]. Gli effetti positivi della Spiritualità sulla salute sono quindi più tangibili [16, 17], anche se l’utilizzo di una strategia di conformità religiosa positiva non riflette necessariamente una mancanza di Spiritualità interna.
Per mancanza di spazio e per non disperdere l’attenzione del lettore sull’ampia letteratura disponibile, si rimanda al Consensus Report contenuto in [5]. Queste sono le principali conclusioni:

a. Il paziente che entra nelle strutture sanitarie si sente più come una “malattia che deve essere curata, che come una persona con bisogni complessi, anche di natura spirituale”. Viene travolto dall’apparato e dalla sua offerta di strumenti diagnostici e rimedi farmacologici. Lui/lei non è incoraggiato a usare le proprie risorse interiori di guarigione. Il suo desiderio di una cura compassionevole per ridurre lo stress della malattia è insoddisfatto.
b. Diverse istituzioni sanitarie hanno sviluppato linee guida specifiche per rispondere a questa esigenza, spostando l’attenzione della cura dai soli bisogni fisici dei pazienti alla cura dell’intera persona.
c. È molto importante che il paziente percepisca un atteggiamento compassionevole nei medici e negli infermieri. Purtroppo “la Compassione è una pratica spirituale, un modo di essere, un modo di servire gli altri e un atto d’amore”. Quindi è molto difficile introdurre questo aspetto per mezzo di linee guida e suggerimenti in quanto richiede un atteggiamento verso la Spiritualità, il senso della trascendenza, il significato e lo scopo, basato su un profondo processo di trasformazione interiore
d. In conclusione si osserva che “I modelli di cura sanitaria in tutto il mondo devono essere trasformati in sistemi che onorano la dignità di tutte le persone (pazienti, famiglie e operatori sanitari); i modelli dovrebbero essere incentrati sulle relazioni con gli individui e con le comunità; la Compassione dovrebbe essere il risultato trainante per qualsiasi sistema sanitario”
Infine, per facilitare il passaggio ad una Medicina più attenta ai bisogni spirituali del paziente, vengono indicate alcune azioni:
(1) sviluppare gli standard di cura proposti, (2) articolare le caratteristiche di un sistema sanitario compassionevole, (3) identificare le barriere e valutare le opportunità, (4) sviluppare raccomandazioni e strategie di attuazione, (5) sviluppare obiettivi immediati e a lungo termine e (6) creare una coalizione per il cambiamento che emetterebbe un invito all’azione che potrebbe essere utilizzato per incoraggiare lo sviluppo di sistemi di cura sanitaria che siano spirituali e Compassionevoli
La Compassione è fondamentale, però non può essere imposta con regole e manuali, ma deve essere educata e stimolata sia nell’individuo che nella società.

3. Il contesto individuale
Alcuni dei problemi emersi nell’integrazione tra Medicina e Spiritualità, come evidenziato in [5], possono essere superati se si combinano le azioni a livello istituzionale con quelle a livello individuale. L’obiettivo è promuovere, sia nel medico che nel personale infermieristico e nel paziente, un’apertura verso la Spiritualità come descritta nella Sezione 2 e riconosciuta in [5], con varie sfumature ed enfasi. Questo approccio personale non si pone in contrasto con quello istituzionale esaminato nella prima parte di questa sezione, ma anzi lo rafforza, rendendolo effettivamente attuabile. Si tratta di un’educazione della mente che punta a ridurre lo stress legato alla malattia, sviluppando la consapevolezza e mantenendo un atteggiamento di distacco e non attaccamento verso le percezioni provenienti dai cinque sensi e quelle che emergono dalla “sesta porta” dell’epistemologia buddista: la Mente.
La pratica della Mindfulness, che ha conosciuto una grande diffusione in Occidente negli ultimi 30 anni, permette di sviluppare la consapevolezza dei fenomeni mentali e delle loro dinamiche, sebbene a uno stadio molto meno profondo rispetto a quello necessario per raggiungere i livelli di consapevolezza, conoscenza e calma interiore che costituiscono l’obiettivo di molte tradizioni mistico-contemplative. Essa costituisce uno strumento efficace per affrontare la sofferenza causata dalla malattia, dalla vecchiaia e dalla paura della morte. Su questa base, sono stati sviluppati i protocolli di Mindfulness Based Stress Reduction (MBSR) [7], compatibili con una partecipazione attiva alla vita lavorativa e sociale, con l’obiettivo di coltivare la consapevolezza del proprio stato mentale e il controllo delle emozioni negative. In questo contesto, non va sottovalutato lo stress emotivo intenso vissuto da medici e infermieri nel continuo confronto con la sofferenza e il senso di impotenza di fronte al progressivo e inarrestabile avanzamento della malattia.
Lasciamo a John Kabat-Zinn [6, p.71] la spiegazione di come la pratica interiore della Mindfulness può essere utilizzata per affrontare la sofferenza della malattia.
“Il dolore è una parte naturale dell’esperienza della vita. La sofferenza è una delle tante possibili risposte al dolore… non è sempre il dolore di per sé ma il modo in cui lo vediamo e reagiamo ad esso a determinare il grado di sofferenza che sperimenteremo. Ed è la sofferenza che temiamo di più, non il dolore… Diversi classici esperimenti di laboratorio con dolore acuto hanno dimostrato che sintonizzarsi sulle sensazioni è un modo più efficace per ridurre il livello di dolore sperimentato quando il dolore è intenso e prolungato rispetto a distrarsi… le dimensioni sensoriale, emotiva e cognitiva/concettuale dell’esperienza del dolore possono essere disaccoppiate l’una dall’altra, il che significa che possono essere mantenute nella consapevolezza come aspetti indipendenti dell’esperienza. Questo fenomeno di disaccoppiamento può darci nuovi gradi di libertà nel riposare nella consapevolezza e nel trattenere qualunque cosa emerge in uno o tutti questi tre ambiti in un modo completamente diverso e riduce drasticamente la sofferenza sperimentata”.
Oltre che essere di aiuto al paziente la pratica della mindfulness è stata declinata in protocolli specifici
utilizzati per affrontare lo stress da burnout nel personale infermieristico e nello staff medico [14], [15], nonché con lo scopo di svilupparne la propensione alla Compassione [16-18].
Questo livello di intervento è fondamentale per rendere efficaci le azioni individuate a livello istituzionale per una completa integrazione della Spiritualità nel percorso di malattia e guarigione. A tal fine è importante riconoscere che il concetto di Spiritualità a cui qui ci riferiamo ha una dimensione intima ed è indipendente dall’adesione ad una religione ufficialmente costituita, nel senso che non la esclude né la ritiene necessaria. Per maggiore chiarezza potremmo definirla Spiritualità laica.

4. Conclusioni
Negli ultimi 30 anni, anche in ambito medico/scientifico, è cresciuta la consapevolezza dell’importanza di proteggere, durante il percorso terapeutico del paziente, uno spazio intimo in cui egli possa concentrarsi sulla sua vita interiore. Questo spazio dovrebbe essere dedicato all’esplorazione del senso e dello scopo della vita e della morte, mantenendo aperta una finestra verso il trascendente. Abbiamo definito questo atteggiamento con il termine “Spiritualità”, distinguendolo dall’adesione formale a una Religione ufficialmente riconosciuta e codificata. Numerosi studi hanno dimostrato che questa attitudine, che spesso, ma non necessariamente, si esprime attraverso la partecipazione a una comunità religiosa, ha effetti positivi non solo sull’umore del paziente e sulla sua capacità di affrontare la sofferenza legata alla malattia, ma anche sull’andamento e sugli esiti della malattia stessa. È stato anche riconosciuto un valore, altrettanto importante nel percorso di cura, alla necessità di fornire al personale sanitario, medici, infermieri e caregiver, gli strumenti per affrontare lo stress derivante dal continuo confronto con la sofferenza e dal peso delle responsabilità che gravano sulle loro spalle. In questo contesto, è fondamentale che il paziente possa sperimentare, nel rapporto con il medico, un atteggiamento di gentilezza amorevole, intesa come una comprensione profonda della sua sofferenza e delle sue necessità, non solo fisiche. Pertanto, se sul fronte istituzionale è necessaria una presa d’atto di questo stato di cose che darà origine in futuro alla introduzione formale di spazi, competenze e sensibilità nei protocolli e nelle organizzazioni e strutture sanitarie, dall’altra è necessario comprendere che anche l’atteggiamento intimo sia del paziente che del personale sanitario deve aprirsi alla pratica della consapevolezza dalla quale si svilupperà spontaneamente una visione carica di empatia per la sofferenza dell’altro. È fondamentale che il paziente sviluppi un atteggiamento mentale diverso nei confronti della sofferenza e della paura della morte, mentre il personale sanitario deve essere supportato nel ricostruire il legame personale con il paziente, troppo spesso sostituito da un’attenzione esclusiva alla malattia.

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