di Laura Candiotto e Maria Vaghi
Nel testo Embodied Mind: Cognitive Science and Human Experience (originariamente scritto nel 1991 e ripubblicato nel 2017; traduzione italiana: La Mente nel corpo, Astrolabio 2024), Francisco Varela, Evan Thompson ed Eleanor Rosch ci conducono verso quell’idea di mente incarnata, secondo cui la comprensione stessa della mente non può esistere in separazione dal corpo né dall’ambiente. Dal loro pensiero fiorisce l’epistemologia enattivista che porta alla luce una conoscenza in prima persona dove l’esperienza incarnata svolge un ruolo costitutivo.
Le scienze cognitive si arricchiscono così di uno sguardo nuovo generato da un lavoro interdisciplinare tra neurobiologia, psicologia, filosofia fenomenologia e pratica meditativa in cui il metodo scientifico si correla alla prospettiva buddhista (specialmente madhyamaka) e alla fenomenologia (in particolare Merleau-Ponty).
Secondo la teoria dell’embodied mind, la mente non elabora informazioni dall’esterno. Ha invece luogo un’immersione nell’esperienza in prima persona che è fatta di relazioni dinamiche e co-istitutive tra corpo, cervello e ambiente. Una mente che si basa sulle azioni incorporate di ogni organismo e sulla relazione con gli altri e con l’ambiente.
Si affievolisce dunque il concetto di una realtà prestabilita e prende spazio una prospettiva nella quale la costituzione di significati da parte degli organismi che vivono in un determinato ambiente è alla base della vita. Ecco che quindi diventa più vasto l’ambito dell’esperienza soggettiva nella continuità tra vita e mente: le esperienze coscienti sono inscindibili da quelle senso-motorie dell’organismo che vive in un determinato ambiente.
L’inestimabile lavoro di Varela sulla mente incarnata ha regalato una visione di ampio respiro sul vivere l’esperienza umana in prima persona.