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Mappare le emozioni (1): introduzione

Il classico Mapping the Mind (1982) di Charles Hampden-Turner include sessanta modelli di mappatura dell’essere umano, della sua psiche. Le sue categorie di mappa spaziano dallo storico al religioso, fino a prospettive psicoanalitiche, esistenzialiste, psicosociali, creative, linguistico-simboliche, cibernetiche, strutturali e “paradigmatiche”. Dal Taoismo, Sant’Agostino, Blake, Darwin, Marx, Weber e Freud, fino a Lacan, Bateson, Chomsky e Varela. Per l’epoca, il testo di Hampden-Turner è estremamente sofisticato, ricco e accessibile; oggi il suo approccio necessita disperatamente di un aggiornamento.
MSA Mappare Emozioni

di Carlo Carnevale
Il classico Mapping the Mind (1982) di Charles Hampden-Turner include sessanta modelli di mappatura dell’essere umano, della sua psiche. Le sue categorie di mappa spaziano dallo storico al religioso, fino a prospettive psicoanalitiche, esistenzialiste, psicosociali, creative, linguistico-simboliche, cibernetiche, strutturali e “paradigmatiche”. Dal Taoismo, Sant’Agostino, Blake, Darwin, Marx, Weber e Freud, fino a Lacan, Bateson, Chomsky e Varela. Per l’epoca, il testo di Hampden-Turner è estremamente sofisticato, ricco e accessibile; oggi il suo approccio necessita disperatamente di un aggiornamento.

Se il modo migliore di apprendere qualcosa è internalizzarlo tramite la pratica, il modo migliore di avvicinare un sistema psicologico, una mappatura del sé, è applicarlo su sé stessi.
Applicare una mappa della psiche è più semplice limitatamente alla dimensione astratta della teoria e dei modelli. Una mappa della mente, del sé, o qualunque modo con cui potremmo riferirci a questa cosa, a seconda della mappatura che adottiamo, potrebbe non essere affatto una cosa, ma avere a che fare con il modo in cui esperiamo il mondo qualitativamente.

La situazione diventa più complessa quando si applicano poi queste mappature a un livello ecologico, dove vanno a integrarsi con il territorio. È qui che una teoria del cambiamento diventa utile. In termini religiosi, la “teoria del cambiamento” equivale sostanzialmente alla dimensione soteriologica: la teoria della salvezza (che gli studiosi delle religioni generalizzano fino a includere teorie dell’illuminazione, liberazione e così via). Le teorie del cambiamento maturano dall’idea che lo stato delle cose (essere) non sia buono abbastanza; che potremmo e, in qualche modo, dovremmo fare meglio (dover-essere). Nella teoria sociale, questo equivale a pieno titolo a una teoria dell’emancipazione.

Cominciamo a intravedere come mai, nel concettualizzare il nostro rapporto affettivo con il mondo, la posta in palio sia in realtà vertiginosamente alta. Per autori centrali nel dibattito filosofico come Whitehead e Peirce, l’affetto, l’emozione e/o il sentimento sono considerati elementi primari; la cognizione e il comportamento emergono dipendentemente dal sentimento o dal tono affettivo che colora i nostri incontri con il mondo fenomenico. Questo primato dell’affetto (e/o dell’estetica) viene discusso da Whitehead nella sua influente critica della “biforcazione della natura” (una biforcazione fra enti sostanziali e intuizioni attributive) dove si sfida un paradigma sostanzialistico della natura (il labile rapporto sostanza-attributo) risalente ad Aristotele e fortemente innervato nella scienza moderna e nella sua ontologia (The Concept of Nature, 1920).

«Essere una astrazione non significa per un ente non esser nulla. Significa semplicemente che la sua esistenza è solo un fattore di un più concreto elemento della natura. Così un elettrone è astratto, perché non si può toglier via l’intera struttura degli eventi e tuttavia conservare l’esistenza dell’elettrone.»

Così la scienza non è «un racconto fantastico: essa non ha il compito di inventare enti inconoscibili forniti di proprietà fantastiche e arbitrarie. […] la scienza determina i caratteri delle cose conosciute, cioè i caratteri della natura apparente. Ma possiamo anche eliminare il termine “apparente” poiché non esiste che una sola natura, cioè la natura che ci sta davanti nella conoscenza percettiva.» (A. N. Whitehead, Il concetto della natura).

Questi concetti (e altri) processuali e relazionali trovano oggi una forte eco nella teoria buddhista, ambientalista, femminista, decoloniale e in altri filoni di pensiero per cui risulta massimamente urgente restituire all’esperienza e alle sue qualità (e quindi anche alle emozioni) una collocazione nel discorso sulla natura in Occidente.

Tenendo a mente proprio questo primato, avvicineremo in una serie di articoli alcuni aspetti salienti del dibattito nelle neuroscienze affettive e dell’emozione.

Fonti & Approfondimenti:
A. N. Whitehead, 1920, The Concept of Nature.
C. Hampden-Turner, 1982, Mapping the Mind.

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