di Maria Vaghi
La ricerca spirituale umana vede nel misticismo e nella meditazione due aspetti fondamentali, riscontrati trasversalmente nelle culture e nelle religioni di tutto il mondo. L’esplorazione della dimensione interiore e la possibilità di trascendere la realtà ordinaria sono obiettivi condivisi in queste pratiche, sebbene trovino forme diverse nella loro manifestazione.
Una parte del misticismo orientale si esprime attraverso pratiche come il samādhi nello Yoga: stato di perfetto raccoglimento di cui troviamo approfondimenti da Patañjali nello Yoga-sūtra, e che può essere inteso come il culmine dell’esperienza meditativa. La mente sperimenta un livello di concentrazione così intenso da far venire meno qualunque forma di dispersione. Il termine stesso, come ampiamente spiegato, può essere tradotto in modi diversi, rispecchiando la complessità del concetto e quanto la meditazione sia importante per raggiungere stati di coscienza superiori.
Nell’ambito del misticismo cristiano, incontriamo descrizioni -da figure come San Giovanni della Croce o Santa Teresa d’Avila – di esperienze estatiche e di unione col divino. Simili stati rappresentano momenti di trasformazione profonda: l’anima è immersa nell’amore di Dio in una dimensione totalizzante ed esperisce stati tanto intensi di gioia e di pace che sfuggono a ordinarie descrizioni. Analogamente alle pratiche yogiche, anche queste esperienze condividono con le prime lo scopo di trascendere il sé raggiungendo uno stato di realizzazione spirituale, pur con le grandi differenze che le caratterizzano.
Tornando alle filosofie orientali, il Buddhismo, con le sue pratiche meditative, ci propone un approccio al misticismo diverso. Attraverso la meditazione buddhista si viene a sviluppare una consapevolezza profonda e la comprensione della vera natura della realtà, giungendo a profondi stati concentrativi e insight. Nella tradizione Mahayana, il concetto di śūnyatā (vacuità) enfatizza la comprensione della natura vuota di tutti i fenomeni. Da qui una consapevolezza pura e paragonabile agli stati di samādhi nello Yoga. Rimanendo in ambito buddhista, la pratica Zen offre un percorso diretto e immediato verso l’esperienza mistica, integrando aspetti filosofici e pratici che risuonano profondamente sia con le tradizioni orientali che occidentali.
Nello Zen, meditazione e misticismo sono visti come “pratica e realizzazione” che sono un’unica cosa, in una visione “mistica realista”. Le risposte ai quesiti profondi non arrivano dalla mente razionale, ma dal vivere le domande stesse. La pratica meditativa nello Zen non mira a produrre l’illuminazione, ma a renderci consapevoli di essa. Meditazione ed esperienza mistica dunque sono interconnesse e inscindibili e la pratica è un’esperienza totale del vivere ordinario in modo realizzato.
Nonostante le differenze culturali e filosofiche, Oriente e Occidente condividono un terreno comune di pratiche mistiche e meditative.
Trascendere la realtà ordinaria, esplorare la dimensione interiore, raggiungere uno stato di unione che sia con l’Assoluto o con il proprio sé più profondo sono appunto campi di ricerca di entrambe le tradizioni. In ultima analisi affiora universalmente l’obiettivo comune di trasformare l’individuo e aprirlo a nuove dimensioni dell’esperienza.
Conoscere queste tradizioni, anche nelle loro diversità, rivela che c’è forse un’aspirazione umana verso il mistero del trascendente. La meditazione che può culminare in stati di coscienza elevati, senza necessariamente passare da adesioni di tipo religioso, invita innanzitutto a una sempre maggiore scoperta di sé e della realtà del mondo. Auspicabilmente questo può donare, al di là di qualunque scopo, comprensione personale profonda e pace interiore.
Ci accompagneranno in questo approfondimento le riflessioni di Rev. Carlo Tetsugen Serra, Ven. Sonam Wangchuk, Antonio Rigopoulos, Giovanni Filoramo e Claudio Colaiacomo.