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Relazioni e società

Valori, relazioni e consapevolezza. Quando la realtà è una questione di narrazione

In un mondo incerto e complesso, l’essere umano ha una inclinazione naturale a costruire narrazioni: storie che intrecciano i fili più disparati delle proprie esperienze in un puzzle coerente di significato.
Relazioni e narrazione
Robe (c. 1870) textile. Original from the Saint Louis Art Museum

di Claudio Colaiacomo
In un mondo incerto e complesso, l’essere umano ha una inclinazione naturale a costruire narrazioni: storie che intrecciano i fili più disparati delle proprie esperienze in un puzzle coerente di significato. Questa tendenza sottende una peculiare modalità di costruzione della realtà di cui non è affatto facile cogliere la sottile dinamica fuorviante. Se debitamente colta, è un’opportunità per prendere consapevolezza dei modi profondi in cui la nostra mente plasma ed è a sua volta plasmata dalle storie che raccontiamo.
Il tema di cosa sia reale e cosa non lo sia è uno dei temi che più affascinano la mente umana dagli albori della rivoluzione cognitiva a oggi. Filosofi, teologi, umanisti, mistici e nell’ultimo secolo scienziati delle discipline fisiche, chimiche e matematiche si sono posti la pressante domanda. Una prospettiva interessante la propone il filosofo israeliano Yuval Noah Harari, autore di numerosi best seller, tra cui Sapiens, Homo Deus e il mio preferito 21 lezioni per il XXI secolo, in cui a mio avviso Harari coglie il nocciolo della questione sulla realtà e la declina precisamente su come questa sia costruita dagli esseri umani.
Poco dopo la nascita, la coscienza trova terreno fertile nella mente che inizia a sviluppare cognizione del proprio ambiente, i nostri cervelli cercano pattern e connessioni, tracciando linee tra eventi che potrebbero, a prima vista, sembrare non correlati. Questo costruttivismo cognitivo, come lo chiama Harari, è la base sulla quale edifichiamo la nostra comprensione del mondo. Eppure, in questa intricata rete di narrazioni, quanto di ciò in cui crediamo è oggettivamente fondato e quanto è una creazione soggettiva delle nostre menti?
I sociologi sostengono che la realtà stessa è socialmente costruita – un prodotto delle convinzioni, relazioni e delle narrazioni condivise all’interno di una determinata società. Queste storie condivise contribuiscono alla formazione di norme culturali, relazioni, valori e istituzioni. Ciò che una cultura considera una verità assoluta potrebbe divergere nettamente dalla narrazione di un’altra, riflettendo il relativismo culturale che caratterizza le società umane.
Non si può ragionare sulla costruzione di narrazioni senza riconoscere il potente ruolo del bias di conferma (confirmation bias). Sembra, infatti, che le nostre menti abbiano una predilezione per cercare informazioni che si allineano con le nostre credenze preesistenti, rafforzando le narrazioni a cui teniamo. Questo fenomeno, pur fornendo un senso di sicurezza e convalida, rappresenta anche una sfida per la comprensione oggettiva, contribuendo alla persistenza di disinformazione e all’approfondirsi della divisione tra narrazioni in conflitto.
Ma perché possediamo questa inclinazione innata a costruire narrazioni? Alcuni sostengono che abbia radici evolutive, utili nella nostra vita relazionale, un tratto affinato nel corso dei millenni. La capacità di condividere e credere in storie, avrebbe conferito vantaggi in termini di cooperazione, coesione sociale e comunicazione – componenti essenziali per la sopravvivenza e il successo delle comunità umane.

Tuttavia, le stesse narrazioni che una volta facilitavano la nostra sopravvivenza pongono ora domande sul potere e sul controllo. Coloro che detengono le redini della creazione di narrazioni – che sia attraverso istituzioni, media o altri mezzi – esercitano un’influenza sostanziale su individui e società. La manipolazione delle narrazioni a fini politici, economici o sociali diventa una preoccupazione urgente, mettendo in discussione l’autenticità delle storie a cui siamo affezionati.
Mentre ci confrontiamo con un mondo in continua evoluzione, la nostra adattabilità come narratori diventa sia un dono sia una maledizione. Le narrazioni che creiamo ci hanno permesso di navigare in ambiti complessi, fornendo un quadro per comprendere e affrontare le sfide. Eppure, le stesse narrazioni possono diventare ostacoli quando contrastano il progresso o perpetuano prospettive obsolete.

Nello svelare i fili delle narrazioni umane, ci troviamo a una svolta – una giunzione in cui la consapevolezza di sé diventa fondamentale. Riconoscere la natura soggettiva e talvolta arbitraria delle nostre narrazioni è il primo passo verso una comprensione più sfumata ed empatica delle diverse storie che plasmano il nostro mondo. Svegliarsi a questa dinamica è importante, rivolgere uno sguardo attento a ciò che ci circonda, con chi ci relazioniamo, consapevoli del potere e della responsabilità che deriva dall’essere gli architetti della nostra stessa realtà.

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