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In primo piano luglio 2024

Verso una spiegazione unificata della meditazione di assorbimento concentrativa avanzata: una definizione e classificazione sistematica dei jhāna

Un affascinante esempio di ricerca nel campo della scienza contemplativa e, nello specifico, dello studio della meditazione avanzata.
MSA Classification of jhana
a detail of Die Zeichen (1919-20), Otto Freundlich (German, 1878-1943), artvee.com

di Maria Vaghi e Bruno Neri

Alla recente conferenza ISCR tenutasi a Padova, abbiamo avuto l’opportunità di ascoltare direttamente dall’autore Matthew D. Sacchet questo studio intrigante e laborioso che ha completato insieme a Terje Sparby (non presente alla conferenza).
Di seguito la sintesi di questo lavoro del maggio 2024 che rappresenta un altro affascinante esempio di ricerca nel campo della scienza contemplativa e, nello specifico, dello studio della meditazione avanzata.

Il lavoro completo può essere letto su Springer Link.

Jhāna si riferisce a stati avanzati di assorbimento meditativo caratterizzati da profonda concentrazione e assorbimento. Tradizionalmente praticati in contesti monastici buddhisti, i jhāna sono sempre più esplorati anche da praticanti laici. La pratica e la comprensione dei jhāna, con le loro radici storiche nel Buddhismo, sono fondamentali per le discussioni sia fenomenologiche che neuroscientifiche. Questo studio mira a fornire una panoramica sistematica e unificata dei jhāna, chiarendo le discrepanze tra varie interpretazioni e descrizioni moderne.

Il termine “jhāna” deriva dalla radice sanscrita “dhi” e si riferisce a stati di profondo assorbimento meditativo. Nella tradizione buddhista Theravāda (*), i jhāna sono descritti come stati progressivi attraverso i quali la mente raggiunge alti livelli di concentrazione e tranquillità. Tradizionalmente sono divisi in otto stati: quattro jhāna materiali e quattro stati immateriali (gli arūpa jhāna).
(*) [stati di profondo assorbimento meditativo sono presenti anche in altre tradizioni buddhiste, questo studio parla di jhana riferendosi appunto, come tradizione buddhista, a quella Theravada- N.d.R.]

Negli ultimi decenni, vari manuali moderni hanno esplorato e sviluppato diverse interpretazioni dei jhāna. Alcuni manuali si basano sui sutta, che presentano i jhāna come stati moderati di assorbimento, mentre altri si riferiscono al “Visuddhimagga” di Buddhaghosa, che li descrive come stati di assorbimento più profondi. Questa differenza nelle fonti ha portato a significative variazioni nella descrizione e pratica dei jhāna.

Lo studio ha analizzato otto manuali di meditazione per identificare caratteristiche comuni e discrepanze nelle descrizioni dei jhāna. Sebbene esistano somiglianze tra le descrizioni, le variazioni possono essere notevoli. Alcuni manuali moderni non concordano su aspetti fondamentali come la presenza di pensieri durante i jhāna e il grado di assorbimento richiesto.

Per garantire il rigore scientifico, è essenziale definire chiaramente i jhāna. Una definizione inclusiva dovrebbe comprendere:

Concentrazione intenzionale e stabile.
Riduzione o assenza di stati mentali negativi.
Sviluppo di fattori positivi come beatitudine e pace.
Orientamento della mente verso l’intuizione e gli obiettivi meditativi.

Descrizione degli otto jhāna
I jhāna sono divisi in otto stati, con variazioni nelle descrizioni tra i manuali. Ecco un riassunto di come gli stati sono tipicamente compresi:

Primo jhāna: caratterizzato da vitakka (pensiero iniziale), vicāra (esame o attenzione sostenuta), pīti (gioia) e sukha (felicità). I manuali concordano sulla presenza di beatitudine e tranquillità, ma differiscono nella loro interpretazione di vitakka e vicāra, con alcuni che li vedono come forme di attenzione piuttosto che come veri e propri pensieri.

Secondo jhāna: descritto come privo di vitakka e vicāra, contraddistinto da una forma più pura di beatitudine e concentrazione più profonda, senza sforzo applicato.

Terzo jhāna: la gioia (pīti) è ridotta, con la pura felicità (sukha) che prevale. Questo stato è caratterizzato da maggiore equanimità e concentrazione.

Quarto jhāna: caratterizzato da completa equanimità (upekkhā) e assenza di felicità e gioia. Questo stato rappresenta un profondo assorbimento dove la mente è completamente calma.

Stati immateriali (arūpa jhāna): questi includono la “Sfera dello Spazio Infinito,” la “Sfera della Coscienza Infinita,” la “Sfera del Nulla,” e la “Sfera della Né Percezione Né Non-Percezione.” Rappresentano una progressione verso l’astinenza totale dalle percezioni materiali.

Le principali discrepanze includono:

Presenza di pensieri durante i jhāna.
Riduzione o assenza di ostacoli meditativi.
Uso di oggetti speciali per entrare negli stati di jhāna.
Percezione sensoriale e senso del tempo durante i jhāna.
Lo studio propone una definizione inclusiva e sistematica dei jhāna, includendo concentrazione profonda e stabile, riduzione degli stati mentali negativi e sviluppo di stati positivi. Questa definizione fornisce una base per ulteriori ricerche e pratiche, integrando diverse tradizioni e interpretazioni dei jhāna. La continua ricerca empirica e fenomenologica è essenziale per chiarire ulteriormente le caratteristiche dei jhāna e il loro impatto sulla pratica meditativa e sul benessere.

Ricerche future e implicazioni
La ricerca sui jhāna dovrebbe continuare sia nelle discipline umanistiche che nelle neuroscienze per chiarire il significato e gli effetti di questi stati meditativi avanzati. Una migliore comprensione dei jhāna potrebbe migliorare la pratica meditativa e contribuire al progresso verso obiettivi come il risveglio e il sollievo dalla sofferenza. I jhāna rappresentano un aspetto fondamentale della meditazione avanzata, con varie descrizioni e interpretazioni che riflettono la complessità e la profondità di questi stati meditativi. Una revisione sistematica e unificata dei jhāna può contribuire a una maggiore chiarezza e integrazione nella pratica e nella ricerca scientifica.

Il primo jhāna
I manuali di meditazione mostrano significative sovrapposizioni nei fattori tradizionali associati ai jhāna, inclusi vitakka, vicāra, pīti, sukha ed ekaggatā, sebbene ci siano differenze interpretative. Alcuni manuali trattano vitakka e vicāra come “pensiero” ed “esame” (Brasington, 2015; Johnson, 2018), mentre altri li vedono come forme di “attenzione iniziale” e “attenzione sostenuta”: il primo dirige l’attenzione verso l’oggetto di meditazione, mentre il secondo mantiene la concentrazione su di esso.
Tutti i manuali concordano sulla presenza di pīti (gioia, beatitudine o estasi) e sukha (felicità) nel primo jhāna. Alcuni manuali associano anche il fattore ekaggatā al primo jhāna e agli stati successivi, interpretandolo come “concentrazione unidirezionale” e “unificazione della mente” (Dennison, 2022; Johnson, 2018). Brahm lo descrive come concentrazione su una “piccola area di esistenza” riguardo spazio, tempo e fenomeni legati alla beatitudine (Brahm, 2014), mentre Catherine lo definisce come la capacità della mente di mantenere una concentrazione stabile su un oggetto scelto (Catherine, 2008).
Le opinioni sui fattori primari per ciascun jhāna variano: un manuale considera vitakka e vicāra centrali per il primo jhāna (Dennison, 2022), mentre due altri indicano che pīti è il fattore principale (Brasington, 2015; Johnson, 2018). Tutti concordano che nel primo jhāna, la mente è in qualche misura isolata da ostacoli come desiderio, avversione e dubbio, sebbene le interpretazioni di questo isolamento varino dall’attenuazione all’assenza completa. Questo isolamento è tradizionalmente associato all’emergere della gioia meditativa (pīti).
Altri aspetti fenomenologici del primo jhāna includono una riduzione della larghezza percettiva (Ingram, 2018), tranquillità (Catherine, 2008; Johnson, 2018) e un aumento della luminosità (Catherine, 2008). Brahm descrive un processo di “oscillazione” durante il primo jhāna, dove la mente afferra e lascia automaticamente la beatitudine, un fenomeno legato alla presenza di vitakka e vicāra (Brahm, 2014).

Il secondo jhāna
I manuali di meditazione concordano che il secondo jhāna è uno stato privo di vitakka e vicāra, sia come pensiero ed esame sia come attenzione iniziale e sostenuta. Brahm descrive questo stato come privo di attenzione applicata ma con attenzione sostenuta, vicino al secondo jhāna (Brahm, 2014). Ingram sottolinea che nel secondo jhāna, quasi tutti gli sforzi applicati e sostenuti cessano, portando a una qualità emergente naturale (Ingram, 2018). Catherine caratterizza la mente nel secondo jhāna come concentrata sull’oggetto di meditazione, raggiungendo una concentrazione fiduciosa e unificata (Catherine, 2008). Brahm sottolinea che l’oscillazione della mente si ferma in questo stato (Brahm, 2014), mentre Dennison osserva che l’attenzione diventa automatica, contribuendo all’unificazione della mente (Dennison, 2022). Johnson aggiunge che la verbalizzazione interna cessa nel secondo jhāna (Johnson, 2018), sebbene Brasington noti che il pensiero potrebbe non scomparire completamente senza ritiri prolungati (Brasington, 2015).
Per quanto riguarda i fattori predominanti nel secondo jhāna, Dennison e Ingram identificano pīti (gioia) come predominante, mentre Brasington vede sukha (felicità) come il fattore principale rispetto al primo jhāna, descrivendo questo cambiamento come tranquillità interiore (Brasington, 2015). Catherine afferma che pīti si intensifica e si stabilizza in un’esperienza potente di tranquillità interiore nel secondo jhāna. Brasington nota anche che il secondo jhāna sembra localizzato più in basso nel corpo rispetto al primo, con la felicità percepita come proveniente dal cuore (Brasington, 2015). Johnson e altri autori indicano che vari jhāna possono concentrarsi su diverse parti del corpo o aree spaziali.

Il terzo jhāna
Nel terzo jhāna, c’è consenso sull’assenza di vitakka e vicāra. Qui, sukha (felicità o contentezza) è presente, mentre pīti (gioia) è scomparsa o trasformata. Shaila Catherine descrive la mente del meditante come “unificata con gioia silenziosa, contentezza,” suggerendo la presenza di ekaggatā (concentrazione unificata), che è esplicitamente confermata da Snyder e Rasmussen. Altri autori come Brahm, Dennison, Johnson e Ingram non menzionano direttamente ekaggatā, ma la sua presenza può essere dedotta dalle loro descrizioni. Nel terzo jhāna, sukha svolge il ruolo principale ed è descritta come onnipervasiva. Altre caratteristiche associate al terzo jhāna includono tranquillità, pace, consapevolezza, chiara comprensione ed equanimità, sebbene queste generalmente non siano indicate come fattori principali. Ingram nota che elementi senza forma come la scomparsa della sensazione corporea, visioni e suoni possono verificarsi, e che l’attenzione è chiara ai bordi ma meno chiara al centro, in contrasto con il secondo jhāna dove l’attenzione è chiara al centro. Brasington osserva che il terzo jhāna è percepito più nella pancia. Queste caratteristiche, come la localizzazione corporea e l’attenzione ampia, sono considerate non tradizionali.

Il quarto jhāna
Il quarto jhāna è distinto dalla scomparsa di sukha (felicità) e dall’emergenza predominante dell’equanimità. Dennison osserva che questa equanimità, essendo il fattore principale, facilita la transizione dal terzo al quarto jhāna, quando l’attaccamento a sukha svanisce. Brahm lo descrive come uno stato di pace profonda e perfezione mentale, mentre Brasington lo definisce come uno stato di equilibrio mentale, senza piacere né dolore. Johnson aggiunge che il dolore corporeo scompare a causa dell’assenza di avversione.
Nel quarto jhāna, la consapevolezza è affinata e perfezionata dall’equanimità. Il respiro diventa molto superficiale o sembra fermarsi, e la percezione del mondo esterno è ridotta, sebbene i suoni forti possano ancora essere percepiti. Cambiamenti nella percezione della luce includono un aumento della luminosità o la presenza di una luce dorata. Dennison e Brasington localizzano il quarto jhāna rispettivamente nella parte superiore e inferiore della testa, con un possibile inclinamento del corpo. Ingram nota una qualità panoramica di questo stato.
Il quarto jhāna è anche associato all’emergere di intuizione e saggezza, che possono influenzare positivamente i comportamenti e le risposte a situazioni dolorose, sostituendo l’avversione con risposte basate su intelligenza e saggezza.

Il quinto jhāna
Il quinto jhāna, o primo jhāna immateriale, è caratterizzato dalla qualità dell’infinito, descritta come uno spazio illimitato, vuoto e indefinito. Basato sul quarto jhāna, questo stato include equanimità ed ekaggatā. Per accedere al quinto jhāna, si può concentrare sull’espansione infinita o su kasiṇa, oggetti sensoriali come dischi colorati, concentrandosi sui bordi degli oggetti materiali. Alcuni manuali menzionano qualità visive sottili associate a esso, come tonalità grigie o nere. Johnson descrive il quinto jhāna come una compassione espansa in tutte le direzioni. Sebbene la pacificazione possa intensificarsi, non è chiaro se tutte le emozioni siano completamente scomparse.

Il sesto jhāna
Il sesto jhāna, o secondo jhāna immateriale, è associato all’infinito della coscienza ed è caratterizzato da una consapevolezza espansa e dall’assenza di stati limitati. Alcuni manuali lo vedono come uno stato in cui il meditante percepisce la coscienza infinita in tutte le direzioni e dimensioni. Johnson descrive il sesto jhāna come una consapevolezza espansa della coscienza, con una fusione di esperienze e percezioni.

Il settimo jhāna
Il settimo jhāna, o terzo jhāna immateriale, è associato al “nulla” o “vuoto” ed è caratterizzato da una percezione di totale assenza e spazio aperto. Brasington descrive questo stato come un “nulla” sperimentato come un’assenza completa di oggetti o fenomeni. Il settimo jhāna è spesso visto come una transizione verso una consapevolezza superiore che non può essere pienamente descritta in termini di fenomeni materiali o esperienze mentali.

L’ottavo jhāna
L’ottavo jhāna, o quarto jhāna immateriale, è associato a “nessun-luogo” o “nulla” e rappresenta uno stato di trascendenza e totale assenza di esperienza concreta. Alcuni manuali lo descrivono come uno stato di completa vacuità, dove tutte le forme di percezione e sensazione sono assenti. L’ottavo jhāna è spesso visto come la realizzazione finale e la completa trascendenza del ciclo di sofferenza e della condizione samsarica (mondana).

Conclusioni
La pratica e l’interpretazione dei jhāna possono variare tra le scuole e le tradizioni di meditazione, ma la loro esperienza e comprensione condividono temi comuni di concentrazione, tranquillità e profonda saggezza. La padronanza di ciascun jhāna richiede una comprensione e una pratica dettagliate, insieme alla guida di un insegnante esperto, per navigare in questi stati e realizzare il pieno potenziale della meditazione profonda.

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